ARTE E SPORT
Il ciclismo e la storia d'Italia
 
     

 

 

Accolgo volentieri l’invito rivoltomi dal Centro di Cultura Toscana
Arte, di partecipare con uno scritto all’iniziativa “Arte e Sport, omaggio a Gino Bartali e Gastone Nencini”, sia per la passione che mi lega al ciclismo, che per l’ammirazione per Bartali e qualcosa di più, mi sia concesso, per il legame affettivo con Gastone, le cui memorabili gesta sono infisse nel ricordo, fin dai primi anni della mia vita.
Due uomini comunque grandi, che hanno segnato gli anni del dopoguerra con le loro vittorie conquistate con la fatica quotidiana –la stessa di milioni di italiani con i calli alle mani- rappresentando, ognuno con la propria personalità, ma entrambi con la determinazione del carattere, una nazione alla ricerca di un’identità mai avuta, divenendo strumenti per alimentare emozioni di massa, finalmente nazionali.
Negli anni cinquanta il ciclismo è in assoluto lo sport più popolare in Italia, in Francia, in Belgio e in Spagna. E’ attorno alle due ruote e a chi le rappresenta sulle strade di mezza Europa che si compattano e si dividono le tifoserie, si evolvono le campagne pubblicitarie, si favorisce la conoscenza dei paesi, città, costumi e tradizioni. Il ciclismo sovrasta il calcio nei giornali sportivi, Coppi e Bartali sono più invidiati del grande Boniperti, i velodromi contengono spesso più tifosi dei campi di calcio, le strade sono una catena umana ininterrotta durante il Giro, le strade di montagna una bolgia infernale. “Perché? Perché”, scrivono gli autori della Storia del Ciclismo, “le due ruote hanno fornito, con una proposta di dure fatiche, il riscontro sportivo alla ricostruzione che impegnava fisicamente tutta la popolazione. Il verbo pedalare in molte regioni significa darsi da fare”.
Il detto di Bartali: “sono di quelli che vogliono finire quel che hanno cominciato” diventa lo slogan italiano a guerra finita, il segno tangibile di un popolo che si rimbocca le maniche e ricostruisce strade, case, fabbriche, scuole. La ripresa del Giro nel ’46 è la prova tangibile che la guerra è finita e che il ritorno alla normalità è possibile dopo anni di morte e di bombardamenti.
Del resto non è infondato pensare alla corsa rosa come al filo che ha intessuto mezzo secolo di storia di un paese diviso, solcato da profondi cambiamenti e soggetto a straordinari stravolgimenti politici: il giolittismo, la seconda guerra mondiale, la repubblica. In fondo, la corsa organizzata nel 1909 dalla “Gazzetta dello Sport” è uno dei pochissimi eventi italiani che possono fregiarsi dell’aggettivo “unificante”, anche sul piano simbolico. E’ con il Giro che si fanno conoscere le strade e le campagne del Sud, che vengono veicolati a livello di massa i primi prodotti di un’industria italiana appena riconosciuta, che la disciplina sportiva da elitaria diventa popolare. Coppi, Bartali, Magni, Nencini, Baldini hanno tifosi ovunque, a Napoli come a Milano, nella Trieste occupata e nella lontana Calabria, sulle colline borghesi di Torino e sulle Dolomiti dure da scalare. Ovunque all’arrivo del Giro, le giornate di lavoro diventano festa, occasione d’incontro, partecipazione diretta a un evento memorabile.
Il ciclismo rende dunque l’Italia più unita e più uguale. D’altra parte, mezzo per eccellenza imparziale ed egualizzante è la bicicletta. Solo con una dura preparazione e con una profonda conoscenza della sofferenza è possibile affermarsi. Solitudine, fatica, tenacia: ingredienti che rendono questo sport uguale per tutti, al di là dalla collocazione sociale, dal livello culturale raggiunto, dal peso della famiglia. Il ciclismo forgia le individualità per prepararle ad atti eroici, ad imprese solitarie.
Una carriera lunghissima e una lingua tagliente su un naso largo e accucciato, Gino Bartali è il primo grande campione dell’immediato dopoguerra con un palmarès eccezionale maturato fino dal ’36. Uomo di ferro, l’Intramontabile, il Pio, Vecchiaccio sono i soprannomi che in vent’anni di vita in bicicletta lo hanno accompagnato per le strade di mezza Europa in un duello impareggiabile con Fausto Coppi, fino a quel ’54 che lo convinse, a quarant’anni suonati, a ritirarsi. Abbandonata la bicicletta, il toscano impugnò la penna e lo scontro con Coppi proseguì sulla carta stampata.
Proprio in quegli anni Gastone Nencini fece il suo debutto da professionista. Nel 1955 la scrittrice Anna Maria Ortese, prima donna a seguire il Giro d’Italia a bordo di un’ammiraglia, ebbe a definirlo come “Il toscano scontroso e gentile” e così parlò di lui: “Il ciclista ha un mondo da conquistare e non ama discorrere con quelli che lo hanno già conquistato. E’ diffidente, un po’ triste, ostile”. Il Mugello aveva insegnato a Gastone la diffidenza, e la guerra da poco conclusa ci aveva messo il resto. Ottimismo e pessimismo, fiducia ed insicurezza si inseguiranno a lungo negli anni di quel nuovo inizio, combattuti tra povertà e razionamenti, la speranza di far presto, la ricostruzione dell’Italia sconfitta, ferita e bombardata.
La fine di una carriera, quella di Bartali, coincise con l’inizio di quella di Nencini. Due storie diverse, due uomini intimamente differenti, due campioni che per il ciclismo hanno sofferto e hanno vinto e con loro hanno vinto ed esultato gli italiani che nei loro successi hanno potuto ritrovarsi come popolo.
 

Riccardo Nencini
Presidente del Consiglio Regionale della Toscana


 
 
 



Busanero e Mazzoli
via G. Lanza 73 - Firenze

Tel. 055 672540 Fax 055 666679